La pratica di meditazione originale suggerita dal Buddha storico Gautama è

qualche cosa di estremamente semplice, ma si tende a fraintendere ed avverare complicazioni.

Non è affatto facile comprendere la semplicità perché è profonda.

Pur apprezzando una vita semplice, non è affatto facile metterla in atto.

Bisogna prima sapere in che cosa consista, e poi viverla.

Consiste in una semplicità interiore che comporta essere liberi dal condizionamento.

Consiste in una semplicità interiore che comporta l’indipendenza dall’attaccamento, dunque da tutto ciò che si deposita e si “muove” nella mente.

Applicando questa semplice pratica si può “pulire” la mente stessa, distinguendo i suoi prodotti dalla sua natura senza più porre distinzioni tra la sua natura e la natura in toto, senza porre più dualismi e confini in generale, da qui il raggiungimento del “Nirvana”, ossia riconoscersi nel Tutto e parte del Tutto.

È questo quanto ha ripetuto puntuale anche Thich Nhat Hanh, monaco zen, insegnante e poeta e che per aiutarci a comprendere meglio, ha coniato il termine “interessere”, parola nuova e abile per un insegnamento ed una comprensione antica. Lui ci ricordava sempre che l’interessere non è una teoria, è una realtà della quale ognuno di noi può fare esperienza diretta in ogni momento della vita quotidiana proprio con questa pratica di meditazione.

La pratica è anche avviata con il termine Anapana e Vipassana, restando concentrati sul respiro in posizione possibilmente seduta su apposito cuscino, con le gambe incrociate e le braccia appoggiate sulle cosce, restando fermi. Ci si accorgerà che anche il movimento è dovuto all’attaccamento di ciò che nasce e si muove nella mente.

E’ una questione di allenamento per cui come ogni altro allenamento, si applica con costanza e in tempi inizialmente brevi per poi farli durare più a lungo, in modo spontaneo e desiderato, senza sforzo.

Inizialmente può sembrare molto difficile proprio perchè non c’è abitudine alcuna alle cose semplici ne al lasciar andare ciò che arriva e si muove dalla mente.

Quando ci si accorge che ci si sta attaccando al suo prodotto, che può essere un pensiero, un ricordo ecc… si ritorna con amorevolezza alla percezione del respiro che entra ed esce dalle narici, gli occhi restano chiusi in particolare per chi non è avvezzo alla pratica, la bocca anche.

La leggerezza che tale pratica ci può donare con la sua replica costante è di estremo beneficio ovunque fin dalle prime settimane.

Altri generi di meditazione come la recita di mantra, la visualizzazione guidata ecc.. restano comunque delle pratiche di attaccamento che, se pur benefiche nel loro risultato, ostacolano la comprensione e l’esperienza “liberatoria” da tutto ciò che la percezione erronea “di divisione” implica.

RIF. Diravamsa

Nell’immagine:  Thich Nhat Hanh

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