É fuorviante sostenere: “l’umano si differenzia dell’animale perché ragiona e dunque può scegliere di opporsi all’stinto”.

In questo modo si lascia intendere:

1- che l’istinto (natura biologica) porti ad agire in modo deplorevole, per esempio induca l’umano ad accoppiarsi senza responsabilità alcuna, dunque in modo compulsivo piuttosto che mirato.

2- che gli animali siano meno validi perché privi di questa caratteristica. 

Di fatto la confusione avviene perchè si scambia l’abitudine per l’istinto. L’abitudine è la ripetizione di un determinato comportamento, collegabile a fattori acquisiti e riconducibile al concetto di consuetudine o di assuefazione. Significa che si è consolidato l’adattamento a condizioni particolari, proprie di un dato ambiente o conseguenti a determinati usi. Un esempio concreto è il dire: “Buon giorno” a chi si incontra e si vuol salutare, piuttosto che applaudire le mani alla fine di uno spettacolo, ringraziare quando ci fanno gli auguri, bere del caffè a fine pasto. Il corpo stesso si può abituare ad ingerire determinate sostanze, così come la mente si può abituare a sentire determinati rumori e a vedere specifiche immagini, ecc. La loro mancanza può creare difficoltà gestionali, includendo anche la problematica relativa alla dipendenza e all’assuefazione. L’istinto invece è la reazione acquisita nei secoli, tramandata a livello genetico perchè salvifica, efficace, utile, attuata in modo automatico, senza il bisogno di connessione cerebrale razionale: esempio concreto è l’alzare il braccio quando qualche cosa ci sta arrivando contro al volto oppure battere le palpebre. L’istinto lo acquisiamo alla nascita ed è onnipresente al bisogno e non si può eliminare se non con tragici incidenti ed interventi, mentre l’abitudine subentra nel tempo e in determinate situazioni: la volontà individuale può modificarla e addirittura eliminarla.

Ora ragioniamo in merito al punto due: in realtà gli animali sono dotati anche di questa caratteristica, ossia di ragionamento ma il falso mito ci impedisce di approfondire, di accorgercene, a scapito della nostra stessa qualità di convivenza con gli animali e la natura in generale, dunque a scapito della nostra stessa felicità.

Si sa che si può vedere ciò che si vuole vedere e che ci condizioniamo in base a quanto siamo pronti a cogliere o meno. Si sa che abbiamo dei filtri percettivi differenti da molti animali e pertanto questi filtri hanno dei limiti che ci impediscono di percepire la realtà esattamente come è. Ad esempio non sentiamo l’urlo del pesce e da qui ne deduciamo che non stia soffrendo, che non abbia paura mentre il pesce ha differenti modi di esprimersi per differente struttura: basti riconoscere che non ha corde vocali, ma andando ad approfondire con specifica tecnologia si riconosce che emette differenti movimenti e differenti vibrazioni inudibili dal nostro apparato uditivo ma ben definiti da altri pesci. Molti animali si esprimono cambiando colore in determinate parti del corpo, vibrando come fa il gatto, muovendo la coda ecc.

In frasi confezionate perciò ci ritroviamo ad ascoltare spesso parole come: “non comportiamoci come le cagne”, lasciando intendere che non hanno capacità selettiva nel scegliere un compagno e che accettano qualsiasi cane per accoppiarsi. Ma altrettanto spesso non si approfondisce e si resta nell’ignorare che si fa un paragone con animali che sono stati addomesticati da noi umani per cui il loro modo di agire è condizionato da questo loro stare lontani dalla propria famiglia, propri simili, da ambiente naturale. Ecco perché anche davanti alla loro  procreazione hanno atteggiamenti che altrimenti sarebbero in assoluto diversi, più selettivi, come lo dimostrano ormai più testimonianze specifiche*. Una cagna addomesticata sa che il cibo  lo riceve senza cercarselo e non ha avuto nemmeno modo di apprendere con esempi il come gestire i suoi calori e i cani in generale. Questi e molti altri fattori, incidono sugli atteggiamenti dei cani. Lo stesso accade negli animali ‘studiati’ in cattività rispetto al loro habitat. In natura molti animali invece sono selettivi, responsabili e hanno una grande propensione alla cura famigliare, inclusi importanti e costanti atteggiamenti paterni. Esempio incisivo é nei pesci e anfibi dove molte specie tengono i piccoli in bocca per proteggerli, altri felini e canidi portano cibo alla compagna gravida e poi alla partoriente e ai cuccioli. Questi sono solo piccoli esempi.

Tornando al mio punto 1: comprendendo il falso mito che giudica il regno animale come incline ad atteggiamenti negativi ossia distruttivi per sé stessi e la vita, riusciamo a comprendere che i nostri istinti, applicabili in contesti naturali e dunque non condizionati da culture pro materialismo, consumismo, egocentrismo, ecc. Sono di fatto in perfetta sintonia con la responsabilità: Re spons abilità in quanto capacità di dare risposte abili a realizzare l’essenza di sé  in armonia con la vita in tutte le sue manifestazioni.

Comprendendo questo, noi umani ci alleggeriamo e ci purifichiamo (dalle abitudini e non solo), recuperando fiducia interiore e nella vita in toto, imparando a distinguere i veri istinti (esempio a proteggerci li dove manca la stabilità sia emotiva che affettiva) dai falsi istinti (quelli in cui ci sentiamo vulnerabili e in preda all’astinenza, alla dipendenza o all’intossicazione).

Ci possiamo prodigare nell’alimentare azioni in grado di vivere in natura invece che ambienti contaminati, ascoltandoci, in sintonia con la nostra essenza, invece che “opporci”.

  • Eva Meijer – linguaggi animali
  • Elizabeth Marshall Thomas – la vita segreta e la vita sociale dei cani
  • Jeffrey Moussaieff Masson – l’abbraccio dell’imperatore
  • Rebecca Giggs – Le regine dell’abisso. Come la vita delle balene ci svela il nostro posto nel mondo